Mauro
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Una giornata in traina - Pescara
I tonni dalle Ali lunghe
Le condizioni del mare sono ideali, il cielo è a
tratti leggermente velato, non ci sembra vero perché
non sempre così è; finalmente l'andatura della
barca rallenta, Massimo fa segno che ci siamo, caliamo le
nostre esche con calma, non vi sono infatti segni di mangianze
in superficie e quindi sappiamo che dovremmo trainare "alla
cieca" per un po', anche se Max, ci ha portato nei
posti dove le giornate precedentemente aveva ottenuto dei
buoni risultati.
Asola del terminale sull'anellino del rapala, tratto più
robusto di circa un metro con un 50 libbre, e girellina
per il collegamento sulla lenza. Osserviamo a vista il nuoto
del rapala prima di filarlo sulla scia della poppa, non
sono infatti nuovi di "pacca", e così se
tendono ad andare leggermente verso un lato, lo posizioniamo
dalla parte della poppa in cui non darà fastidio
alle altre esche da filare.
Misuriamo la distanza dell'artificiale dalla poppa, rilasciando
il filo a bracciate, 24 per quelle più distanti e
circa 20 per quelle più vicine, circa cioè
dai 35 ai 45 metri in pesca, prima quelle centrali e poi
quelle laterali più vicine. Alla fine avanza una
canna con un rapala bianco a strisce arancioni, ma nonostante
i ripetuti ritocchi sulla paletta metallica con le pinze,
non riusciamo a dargli il giusto assetto di nuoto, finirà
così a quindici metri dalla poppa onde evitare fastidiosi
imbrogli durante l'azione di traina.
Dovendo ancora capire quale sarà l'esca più
efficace per quelle condizioni di mare, luminosità
ecc., in acqua alla fine ci finiranno tutte esche delle
dimensioni del 14, ma i colori saranno, arancione, bianco
testa rossa, nero metallizzato, lampuga, e in ultimo anche
il viola che da come mi avevano detto, nelle prime ore del
giorno funziona bene.
Regoliamo la frizione dei mulinelli, tutto è ormai
pronto, Max avvisato di questo, regola la velocità
di traina, per assestarsi sui 6,2 ai 6,5 nodi, massimo 7
nodi, prendiamo qualche panino e ci prepariamo all'attesa
del canto del cicalino, di acqua intorno ce n'è tanta,
segni di gabbiani pochi, come per il resto anche di mangianze.
Scrutiamo continuamente l'orizzonte per 360° sperando
di scorgere qualche segno amico, ma nulla di fatto a parte
qualche partenza del filo provocata dall'amico in un attimo
di distrazione, e così l'adrenalina ci sveglia più
del caffè.
La prima partenza ci coglie quasi impreparati, c'é
chi si butta subito sulla canna con il pesce, gli altri
esitano un po' e poi, qualche istante dopo, collaboriamo
tutti nel recuperare le altre lenze per agevolare il recupero
del pesce. La partenza è bella come ogni volta che
mangia un'alalunga, sembra non finire più e, senza
contrastare la cosa, gli lasciamo prendere quanto filo vuole,
perché poi rallenta ed infatti così è.
Senza andargli incontro, ma con barca ferma, inizia il costante
recupero interrotto da qualche ulteriore breve fuga, recupero
facilitato dal fatto che il pesce è ormai stanco
della fuga iniziale, ha in bocca un'esca artificiale abbastanza
voluminosa ed è ancora in panico per la "botta"
ricevuta dall'allamata.
Il pesce alla vista dello scafo della barca affonda e così
ce lo troviamo sulla verticale, è però ormai
cotto. Ha in bocca l'artificiale color viola, ferrata decisa
e via di nuovo in movimento; subito in due filiamo le canne
a poppa, mentre altri due si occupano di levare l'esca dalla
bocca dell'alalunga, che come spesso accade, e cosa peraltro
normale, si sbatte tutta, è il caso di aspettare
o dargli una botta. Abbiamo ancora vivo il racconto di alcuni
amici che nel togliere l'artificiale dalla bocca del pesce
ancora mezzo vivo, si sono ritrovati le ancorette infisse
nella mano e poi son dolori; spesso l'unica via d'uscita
è far passare l'amo nel suo senso dopo averlo reciso
dal corpo dell'ancoretta.
( Continua
) »»
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