Mario
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Ladispoli
Giugno 2008
FOTO
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Andiamo al relitto!
Salve, sono gia un inserzionista, ma scrivo per raccontarvi
una new entry nel nostro club di pescatori.
Questanno entrava a far parte della grande famiglia,
del famoso rimessaggio Pierozzi di Ladispoli anche Marco
detto il doctor per la sua professione, grosso appassionato
di mare ma scarso pescatore, e quindi tutti Noi ci siamo
dati da fare per far si di fargli prendere qualcosa e fargli
provare quelle emozioni, a noi note che ti legano alla pesca
per tutta la vita.
Abbiamo provato con la traina alla spigola per gran parte
della primavera e nulla di fatto, abbiamo provato con il
vivo e peggio che peggio, quando ormai tutte le speranze
erano perse, lidea di Gaetano (professore di pesca
a bolentino insieme a Gualtiero), ANDIAMO AL RELITTO!!!
Il solo pensiero di andarci ci ha aiutato a far trascorrere
meglio la settimana, con tutti i preparativi del caso, centinaia
di metri di cima, ancora realizzata da Gaetano e preparazione
della barca (la solita Sessa key largo 22).
Appuntamento al rimessaggio alle ore 7,30 saluto agli amici
che andavano chi a serra e chi a sugheri solite prese in
giro e viaaaaaaa. Arrivati sul posto ancoraggio con qualche
difficoltà, e inizio dellazione di pesca, dopo
una mezza ora lunico ad aver preso ero io, in successione
pesce S.pietro, gronco di peso e grosso sughero, non ci
posso credere, ancora non ha preso nulla (il dottore)!
Allora Gaetano da un paio di dritte al doctor sul modo
di innescare lalice, ed é finita, anche il
dottore inizia a far parte dei grandi pescatori di Ladispoli
e dintorni, vi mando le foto della giornata di pesca per
informazione dei lettori sono 6 Gallinelle, 2 S.Pietro,
1 Merluzzo, svariate pezzogne,1 gronco di peso e parecchi
sugheri e il tutto tirato su con mulinelli meccanici da
140 mt.
E quindi di nuovo benvenuto dottore
Fabio
Magica Grandine !
ERA UNA FREDDA MATTINATA DI FINE MARZO
Era una fredda mattinata di fine marzo di qualche anno
fa. La bella stagione tardava ancora a prendere il sopravvento
sulle perturbazioni tipicamente invernali e il cielo, grigio
e gonfio di pioggia, faceva presagire una giornata di pioggia
battente.
Il gommone avanzava lentamente lungo il canale di Santa
Liberata che dal rimessaggio porta direttamente al mare
aperto.
L'umore a bordo non era certo dei migliori. Gianni, in piedi
a lato della torretta di guida, scrutava l'orizzonte alla
ricerca di uno squarcio delle nuvole che potesse far sperare
in una variazione al meglio delle condizioni atmosferiche.
La scelta di "uscire" comunque, nonostante le
evidenti condizioni avverse, era stata molto dibattuta e
sofferta e qualsiasi tenue chiarore nel colore del cielo
avrebbe contribuito a convincerci sulla decisione presa.
Fabio era seduto sulla panca di prua. Imbacuccato
nella sua giacca a vento, non parlava. Nella sua espressione
erano racchiusi tutti i nostri dubbi circa la volontà
di prendere il mare comunque.
Come ogni sabato ci eravamo incontrati a notte fonda sulla
via Aurelia all'altezza del 13° chilometro, proprio
davanti all'entrata del famoso ristorante, e come sempre
eravamo partiti alla volta dell'Argentario.
Durante il viaggio, si era discusso a lungo per stabilire
l'itinerario della giornata di pesca e ancora una volta,
avevamo deciso di fare la prima tappa all'Argentarola per
poi proseguire verso Capo d'Uomo e Isola Rossa.
La decisione aveva scatenato la solita autocritica circa
le nostre uscite troppo abitudinarie, che nel corso degli
anni ci avevano portato, settimana dopo settimana, a percorrere
itinerari di pesca ricorrenti prediligendo la certezza di
fondali noti ai dubbi su possibili percorsi alternativi.
Dopo poco più di un'ora di viaggio, eravamo dunque
arrivati al rimessaggio, proprio mentre le luci dell'alba
confermavano impietosamente i nostri timori circa le avverse
condizioni atmosferiche.
Avevamo comunque deciso di uscire e, caricato il gommone
con le sacche, i pesi e i fucili, ci stavamo dirigendo verso
il mare, ognuno con il dubbio, nel proprio intimo, di riuscire
ad immergersi veramente.
L'impatto con il mare aperto era stato peggiore del previsto.
Il forte vento proveniente da sud-est spazzava a raffiche
la superficie del golfo di Giannella e, nonostante
la navigazione avvenisse a ridosso delle pareti rocciose,
l'imbarcazione non riusciva a mantenere un soddisfacente
assetto di planata causando violenti colpi di carena ogni
volta che ricadeva sull'acqua.
Poi, improvvisamente, passata la prima punta a nord di Porto
S. Stefano, la disordinata increspatura del mare si era
distesa in una superficie finalmente placata, animata però
da un lento e imponente moto ondoso verticale.
Il gommone procedeva in lieve planata mentre il mare, quasi
a dimostrare tutta la sua potenza, gli respirava ai fianchi
formandogli intorno imponenti montagne d'acqua.
Per proseguire la navigazione eravamo stati costretti ad
accostare a terra, ma in prossimità di Cala Moresca
il mare si era ulteriormente trasformato.
Ora le onde erano sormontate da sbuffi di schiuma bianca
che sotto le raffiche di vento si nebulizzava in minuscole
goccioline. Non era possibile proseguire.
Con una rapida quanto azzardata manovra avevamo pertanto
fatto inversione di rotta e, cavalcando l'ennesima ondata,
eravamo finalmente entrati nell'insenatura di Cala Grande
dove il mare, riparato dalle alte scogliere, si era magicamente
spianato.
Ancorato il gommone ci eravamo spogliati e, infilata muta
e attrezzature, ci eravamo immersi in un'acqua sorprendentemente
cristallina che aveva imposto per tutti l'utilizzo del 100.
Io e Fabio ci eravamo diretti in direzione della scogliera
mentre Gianni, inguaribile aspettista, aveva scelto
la zona più profonda del golfo per tentare qualche
cattura tra le alghe.
Nuotavamo da alcuni minuti quando improvvisamente avevo
percepito una sensazione di disagio. Sulla mia verticale
i piccoli pesci di fondale avevano avuto come un sussulto
e si erano mossi all'unisono come spaventati da un pericolo
imminente. Ricordo di essermi sentito circondato da un assordante
rumore di sottofondo e di essermi sentito picchiare violentemente
sulla schiena.
Alzata la testa mi sono reso conto di quanto stava accadendo.
Stava grandinando furiosamente. Dal cielo venivano
giù chicchi di grandine grandi come noci, la superficie
dell'acqua sembrava ribollire e attorno a me non si vedeva
più niente.
Il gommone era solo una sagoma dai contorni indefiniti.
Fabio, a pochi metri da me era scomparso.
Per evitare la violenza della grandine sul vetro della maschera,
ero stato costretto a immergere di nuovo la testa.
Sotto di me stava succedendo qualcosa.
Un fiume di pesci, letteralmente un fiume di grossi pesci
stava passando a velocità vertiginosa sotto le mie
pinne. Erano come impazziti ed erano migliaia. Correvano
in fila indiana rasenti il fondo, scartando con movimenti
repentini i grossi massi che trovavano sulla loro strada.
Istintivamente mi ero immerso e solo allora mi ero reso
conto dell'immensità del branco.
Erano cefali, grossi cefali di almeno due chili.
La lunga fila dei pesci si estendeva a perdita d'occhio
e dalla mia posizione non riuscivo a distinguere ne l'inizio
ne la fine del gruppo.
Ai lati di questa infinita gimcana, leggermente staccate
dal flusso principale, avevo notato delle ombre più
corpulente, più rade rispetto ai cefali, ma al pari
di questi lanciate in una folle corsa senza senso.
Erano spigole, enormi, meravigliose, superbe, elegantissime
spigole.
Pochi attimi e tutto era tornato normale.
La sfuriata di grandine si era placata, i piccoli saraghi
sul fondo erano tornati a piluccare le rocce e il fiume
di grossi pesci era definitivamente sparito nel blu.
Avevo deciso allora di allargarmi di alcune decine di metri.
Al limite tra sabbia e posidonia, su un fondale di circa
otto metri. Avevo individuato un gruppo di grossi massi
al limite delle alghe e avevo deciso di tentare un aspetto.
Dopo aver ventilato a fondo, una, due, tre volte ero volato
giù verso quel nascondiglio.
Ero atterrato coperto col 100 teso davanti agli occhi. Di
fronte a me, sopra uno spiazzo privo di alghe, decine di
sagome avanzano lentamente alternando movimenti orizzontali
a brevi incursioni sulla sabbia. Erano loro. Il branco di
cefali, e intorno a loro si intuivano i possenti profili
delle spigole.
Ero immobile da alcuni secondi, i pesci erano li davanti
a me ma nulla cambiava, le sagome continuavano indifferenti
il loro pasto e io ero già in riserva d'aria.
Poi all'improvviso l'idea.
Con una smorfia appena accennata facevo fuoriuscire dalla
bocca una piccolissima quantità di preziosissima
aria che ricomponendosi in una forma semisferica iniziava
a risalire verso la superficie.
Immediatamente una delle sagome più grandi aveva
avuto uno scarto e variando la propria direzione di nuoto
mi stava puntando direttamente.
Il cuore aveva avuto un sussulto. Mi ero appiattito ancora
di più dietro le rocce, ma cosi facendo la sagoma
del pesce era scomparsa completamente dalla mia visuale.
Gli attimi erano eterni.
Mi aspettavo di vedere il pesce affacciarsi sul mio nascondiglio
da un momento all'altro.
Poi lo avevo visto, era lungo, aveva girato in anticipo
e adesso stava tentando di soddisfare la sua curiosità
con un largo aggiramento laterale. Ero rimasto immobile.
Il pesce mi era sfilato di lato. Era ancora lungo ma stava
percorrendo una traiettoria che lentamente, impercettibilmente
lo avvicinava alla mia postazione.
Il pesce nel suo movimento d'avvicinamento aveva frapposto
tra noi, solo per un attimo, uno spuntone di roccia. Ne
avevo approfittato per riallineare il 100 con un movimento
millimetrico. Ora il pesce era coperto, ma il fucile era
perfettamente in linea nella direzione dalla quale mi aspettavo
di vederlo comparire.
Il mio diaframma, con ritmici sussulti, mi aveva avvisato
che l'aria era ormai finita. Contemporaneamente la Spigola
era finalmente comparsa esattamente dove mi aspettavo comparisse,
aveva mostrato tutto il suo corpo sfilando di tre quarti
a due metri dalla punta dell'asta. L'istinto aveva contratto
l'indice sul grilletto, presa! Il pesce era passato, era
sull'asta.
In risalita avevo fatto filare il mulinello. In superficie,
avevo preso in mano la sagola ed avevo iniziato a recuperarla
con prudenza facendo attenzione ad assecondare ogni brusco
movimento del pesce che sotto le mie pinne risaliva lentamente
a galla.
Alcuni minuti e la maestosa Spigola era saldamente
assicurata in cintura. Ora potevo rialzare la testa.
Il pallone di Fabio denunciava la sua presenza lungo la
scogliera, mentre sul gommone Gianni era impegnato in qualche
operazione.
L'irrefrenabile voglia di condividere la gioia della cattura
mi stava portando verso il gommone. La mano sinistra lungo
il fianco sfiorava il pesce, la testa, sopra l'acqua, cercava
un'espressione nel viso dell'amico.
Sotto alla barca, avevo passato il fucile con finta indifferenza,
poi, con un colpo di pinne, ero risalito.
Ero pronto a stupire, ma fui stupito!
Sul paiolato si dibatteva un maestoso e nobile dentice.
L'aspettista aveva colpito ancora!
Luca Terribili
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