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Indice Racconti  Anno 2007

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Pesca costiera su relitto e in apnea

Ladispoli - Argentario

Mario

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Ladispoli

Giugno 2008

 

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Andiamo al relitto!

 

Salve, sono gia’ un inserzionista, ma scrivo per raccontarvi una new entry nel nostro club di pescatori.

Quest’anno entrava a far parte della grande famiglia, del famoso rimessaggio Pierozzi di Ladispoli anche Marco detto il doctor per la sua professione, grosso appassionato di mare ma scarso pescatore, e quindi tutti Noi ci siamo dati da fare per far si di fargli prendere qualcosa e fargli provare quelle emozioni, a noi note che ti legano alla pesca per tutta la vita.

 

Abbiamo provato con la traina alla spigola per gran parte della primavera e nulla di fatto, abbiamo provato con il vivo e peggio che peggio, quando ormai tutte le speranze erano perse, l’idea di Gaetano (professore di pesca a bolentino insieme a Gualtiero), ANDIAMO AL RELITTO!!!

 

Il solo pensiero di andarci ci ha aiutato a far trascorrere meglio la settimana, con tutti i preparativi del caso, centinaia di metri di cima, ancora realizzata da Gaetano e preparazione della barca (la solita Sessa key largo 22).

 

Appuntamento al rimessaggio alle ore 7,30 saluto agli amici che andavano chi a serra e chi a sugheri solite prese in giro e viaaaaaaa. Arrivati sul posto ancoraggio con qualche difficoltà, e inizio dell’azione di pesca, dopo una mezza ora l’unico ad aver preso ero io, in successione pesce S.pietro, gronco di peso e grosso sughero, non ci posso credere, ancora non ha preso nulla (il dottore)!

 

Allora Gaetano da un paio di dritte al doctor sul modo di innescare l’alice, ed é finita, anche il dottore inizia a far parte dei grandi pescatori di Ladispoli e dintorni, vi mando le foto della giornata di pesca per informazione dei lettori sono 6 Gallinelle, 2 S.Pietro, 1 Merluzzo, svariate pezzogne,1 gronco di peso e parecchi sugheri e il tutto tirato su con mulinelli meccanici da 140 mt.

E quindi di nuovo benvenuto dottore

Fabio

 

 

Magica Grandine !

ERA UNA FREDDA MATTINATA DI FINE MARZO

 

Era una fredda mattinata di fine marzo di qualche anno fa. La bella stagione tardava ancora a prendere il sopravvento sulle perturbazioni tipicamente invernali e il cielo, grigio e gonfio di pioggia, faceva presagire una giornata di pioggia battente.

Il gommone avanzava lentamente lungo il canale di Santa Liberata che dal rimessaggio porta direttamente al mare aperto.
L'umore a bordo non era certo dei migliori. Gianni, in piedi a lato della torretta di guida, scrutava l'orizzonte alla ricerca di uno squarcio delle nuvole che potesse far sperare in una variazione al meglio delle condizioni atmosferiche.
La scelta di "uscire" comunque, nonostante le evidenti condizioni avverse, era stata molto dibattuta e sofferta e qualsiasi tenue chiarore nel colore del cielo avrebbe contribuito a convincerci sulla decisione presa.
Fabio era seduto sulla panca di prua. Imbacuccato nella sua giacca a vento, non parlava. Nella sua espressione erano racchiusi tutti i nostri dubbi circa la volontà di prendere il mare comunque.

Come ogni sabato ci eravamo incontrati a notte fonda sulla via Aurelia all'altezza del 13° chilometro, proprio davanti all'entrata del famoso ristorante, e come sempre eravamo partiti alla volta dell'Argentario.
Durante il viaggio, si era discusso a lungo per stabilire l'itinerario della giornata di pesca e ancora una volta, avevamo deciso di fare la prima tappa all'Argentarola per poi proseguire verso Capo d'Uomo e Isola Rossa.
La decisione aveva scatenato la solita autocritica circa le nostre uscite troppo abitudinarie, che nel corso degli anni ci avevano portato, settimana dopo settimana, a percorrere itinerari di pesca ricorrenti prediligendo la certezza di fondali noti ai dubbi su possibili percorsi alternativi.
Dopo poco più di un'ora di viaggio, eravamo dunque arrivati al rimessaggio, proprio mentre le luci dell'alba confermavano impietosamente i nostri timori circa le avverse condizioni atmosferiche.

Avevamo comunque deciso di uscire e, caricato il gommone con le sacche, i pesi e i fucili, ci stavamo dirigendo verso il mare, ognuno con il dubbio, nel proprio intimo, di riuscire ad immergersi veramente.

L'impatto con il mare aperto era stato peggiore del previsto. Il forte vento proveniente da sud-est spazzava a raffiche la superficie del golfo di Giannella e, nonostante la navigazione avvenisse a ridosso delle pareti rocciose, l'imbarcazione non riusciva a mantenere un soddisfacente assetto di planata causando violenti colpi di carena ogni volta che ricadeva sull'acqua.
Poi, improvvisamente, passata la prima punta a nord di Porto S. Stefano, la disordinata increspatura del mare si era distesa in una superficie finalmente placata, animata però da un lento e imponente moto ondoso verticale.
Il gommone procedeva in lieve planata mentre il mare, quasi a dimostrare tutta la sua potenza, gli respirava ai fianchi formandogli intorno imponenti montagne d'acqua.
Per proseguire la navigazione eravamo stati costretti ad accostare a terra, ma in prossimità di Cala Moresca il mare si era ulteriormente trasformato.
Ora le onde erano sormontate da sbuffi di schiuma bianca che sotto le raffiche di vento si nebulizzava in minuscole goccioline. Non era possibile proseguire.
Con una rapida quanto azzardata manovra avevamo pertanto fatto inversione di rotta e, cavalcando l'ennesima ondata, eravamo finalmente entrati nell'insenatura di Cala Grande dove il mare, riparato dalle alte scogliere, si era magicamente spianato.

Ancorato il gommone ci eravamo spogliati e, infilata muta e attrezzature, ci eravamo immersi in un'acqua sorprendentemente cristallina che aveva imposto per tutti l'utilizzo del 100.
Io e Fabio ci eravamo diretti in direzione della scogliera mentre Gianni, inguaribile aspettista, aveva scelto la zona più profonda del golfo per tentare qualche cattura tra le alghe.

Nuotavamo da alcuni minuti quando improvvisamente avevo percepito una sensazione di disagio. Sulla mia verticale i piccoli pesci di fondale avevano avuto come un sussulto e si erano mossi all'unisono come spaventati da un pericolo imminente. Ricordo di essermi sentito circondato da un assordante rumore di sottofondo e di essermi sentito picchiare violentemente sulla schiena.
Alzata la testa mi sono reso conto di quanto stava accadendo.
Stava grandinando furiosamente. Dal cielo venivano giù chicchi di grandine grandi come noci, la superficie dell'acqua sembrava ribollire e attorno a me non si vedeva più niente.
Il gommone era solo una sagoma dai contorni indefiniti. Fabio, a pochi metri da me era scomparso.
Per evitare la violenza della grandine sul vetro della maschera, ero stato costretto a immergere di nuovo la testa.
Sotto di me stava succedendo qualcosa.
Un fiume di pesci, letteralmente un fiume di grossi pesci stava passando a velocità vertiginosa sotto le mie pinne. Erano come impazziti ed erano migliaia. Correvano in fila indiana rasenti il fondo, scartando con movimenti repentini i grossi massi che trovavano sulla loro strada.
Istintivamente mi ero immerso e solo allora mi ero reso conto dell'immensità del branco.
Erano cefali, grossi cefali di almeno due chili.
La lunga fila dei pesci si estendeva a perdita d'occhio e dalla mia posizione non riuscivo a distinguere ne l'inizio ne la fine del gruppo.
Ai lati di questa infinita gimcana, leggermente staccate dal flusso principale, avevo notato delle ombre più corpulente, più rade rispetto ai cefali, ma al pari di questi lanciate in una folle corsa senza senso.
Erano spigole, enormi, meravigliose, superbe, elegantissime spigole.

Pochi attimi e tutto era tornato normale.
La sfuriata di grandine si era placata, i piccoli saraghi sul fondo erano tornati a piluccare le rocce e il fiume di grossi pesci era definitivamente sparito nel blu.

Avevo deciso allora di allargarmi di alcune decine di metri. Al limite tra sabbia e posidonia, su un fondale di circa otto metri. Avevo individuato un gruppo di grossi massi al limite delle alghe e avevo deciso di tentare un aspetto. Dopo aver ventilato a fondo, una, due, tre volte ero volato giù verso quel nascondiglio.
Ero atterrato coperto col 100 teso davanti agli occhi. Di fronte a me, sopra uno spiazzo privo di alghe, decine di sagome avanzano lentamente alternando movimenti orizzontali a brevi incursioni sulla sabbia. Erano loro. Il branco di cefali, e intorno a loro si intuivano i possenti profili delle spigole.

Ero immobile da alcuni secondi, i pesci erano li davanti a me ma nulla cambiava, le sagome continuavano indifferenti il loro pasto e io ero già in riserva d'aria.
Poi all'improvviso l'idea.
Con una smorfia appena accennata facevo fuoriuscire dalla bocca una piccolissima quantità di preziosissima aria che ricomponendosi in una forma semisferica iniziava a risalire verso la superficie.
Immediatamente una delle sagome più grandi aveva avuto uno scarto e variando la propria direzione di nuoto mi stava puntando direttamente.
Il cuore aveva avuto un sussulto. Mi ero appiattito ancora di più dietro le rocce, ma cosi facendo la sagoma del pesce era scomparsa completamente dalla mia visuale.
Gli attimi erano eterni.
Mi aspettavo di vedere il pesce affacciarsi sul mio nascondiglio da un momento all'altro.
Poi lo avevo visto, era lungo, aveva girato in anticipo e adesso stava tentando di soddisfare la sua curiosità con un largo aggiramento laterale. Ero rimasto immobile. Il pesce mi era sfilato di lato. Era ancora lungo ma stava percorrendo una traiettoria che lentamente, impercettibilmente lo avvicinava alla mia postazione.
Il pesce nel suo movimento d'avvicinamento aveva frapposto tra noi, solo per un attimo, uno spuntone di roccia. Ne avevo approfittato per riallineare il 100 con un movimento millimetrico. Ora il pesce era coperto, ma il fucile era perfettamente in linea nella direzione dalla quale mi aspettavo di vederlo comparire.
Il mio diaframma, con ritmici sussulti, mi aveva avvisato che l'aria era ormai finita. Contemporaneamente la Spigola era finalmente comparsa esattamente dove mi aspettavo comparisse, aveva mostrato tutto il suo corpo sfilando di tre quarti a due metri dalla punta dell'asta. L'istinto aveva contratto l'indice sul grilletto, presa! Il pesce era passato, era sull'asta.

In risalita avevo fatto filare il mulinello. In superficie, avevo preso in mano la sagola ed avevo iniziato a recuperarla con prudenza facendo attenzione ad assecondare ogni brusco movimento del pesce che sotto le mie pinne risaliva lentamente a galla.

Alcuni minuti e la maestosa Spigola era saldamente assicurata in cintura. Ora potevo rialzare la testa.
Il pallone di Fabio denunciava la sua presenza lungo la scogliera, mentre sul gommone Gianni era impegnato in qualche operazione.

L'irrefrenabile voglia di condividere la gioia della cattura mi stava portando verso il gommone. La mano sinistra lungo il fianco sfiorava il pesce, la testa, sopra l'acqua, cercava un'espressione nel viso dell'amico.
Sotto alla barca, avevo passato il fucile con finta indifferenza, poi, con un colpo di pinne, ero risalito.
Ero pronto a stupire, ma fui stupito!
Sul paiolato si dibatteva un maestoso e nobile dentice. L'aspettista aveva colpito ancora!

 

Luca Terribili


 

 

 

 

 

 

19 Luglio - 2008