Piattaforme off-shore dismesse
"artificial reefs"
Quando queste strutture vengono dismesse per esaurimento
del giacimento di petrolio o gas, vengono tradizionalmente
eseguite le operazioni di rimozione. Tali operazioni, però,
pongono grossi problemi sia in termini di sicurezza che
di inquinamento, oltre a costituire un grosso onere economico
a carico della ditta.
In particolare, è necessario impiegare personale
altamente qualificato, utilizzare tecniche sofisticate,
con particolare riferimento alle attrezzature di taglio
subacqueo e alle rimozione delle strutture in calcestruzzo
che tengono ancorata la piattaforma al fondale, senza compromettere
l'integrità del sistema (e facendo anche ricorso
a sistemi di zavorramento), eseguire le operazioni di smaltimento
finale dei rottami metallici e plastici, nonché degli
oli usati e di altri prodotti altamente inquinanti, in modo
da non provocare alcun tipo di impatto ambientale.
Una volta eseguita la rimozione dall'area marina, la rottamazione
a terra impone il problema della destinazione dei materiali
non più riutilizzabili, lo smaltimento finale delle
sostanze inquinanti, il lavaggio e la bonifica degli impianti
qualora non sia stato possibile eseguire queste operazioni
in mare.
In tempi recenti, una valida alternativa alla rimozione
è stata considerata quella di utilizzare le piattaforme
off-shore dismesse come "artificial reefs". Le
prime sperimentazioni sono state compiute nel Golfo del
Messico, perché è stato osservato che molte
strutture artificiali posta al largo della costa della Louisiana
attraevano numerose specie di pesci oggetto di pesca sportiva,
per cui è stato possibile istituire un'attività
commerciale di quel tipo in zone che non erano mai state
precedentemente interessate da quel fenomeno.
Queste strutture, infatti, sono risultate particolarmente
idonee alla creazione di "artificial reefs", in
quanto forniscono habitat a fondo solido, fondale utilizzabile
per la deposizione delle uova o come zona nursery. Per il
loro particolare design - un complesso di box, fenestrature,
scale, balaustre e tralicci leggeri, che consentono un'adeguata
circolazione dell'acqua - si ha un alto rapporto superficie/volume;
questo consente un notevole "settlement" di organismi
sessili che forniscono un'ampia disponibilità di
cibo alle specie ittiche che vi si aggregano. La struttura
contribuisce alla creazione di un range verticale di differenti
tipi di habitat lungo la colonna d'acqua, in modo che le
varie specie abbiano l'opportunità di stazionare
alla profondità più favorevole e presenta,
inoltre, zone idonee per l'esecuzione di eventuali monitoraggi,
anche dall'esterno (uso di telecamere e/o sonde).
Nel caso del Mar del Nord, non sono ancora state condotte
iniziative del tipo descritto per il Golfo del Messico,
ma sono state osservate clamorose forme di aggregazione
di specie commerciali attorno alle piattaforme off-shore
della Ecofisk in attività. In particolare, studiando
il comportamento di quelle specie ittiche, sono stati ricavati
tre interessanti modelli che possono essere verosimilmente
applicati per aumentare la produttività di quelle
aree:
- modello A - pesci pelagici, o che popolano gli strati
medi della colonna d'acqua, come il Pollachius virens.
Tendono a rimanere negli strati superiori aggregati in
banchi.
- modello B - pesci demersali che si aggregano attorno
alla struttura, ma non in modo sedentario, come il Gadus
morhua e il Trisopterus esmarkeii.
- modello C - pesci sedentari che vivono all'interno degli
spazi della struttura, come Molva molva e Anarchichas
lupus.
È probabile che vi sia una combinazione di fattori
agenti in maniera sinergica a determinare questa distribuzione
di pesci attorno alle piattaforme, ma la vera ragione di
un'eventuale aumento della produzione sta nel fatto che
le piattaforme creano dei microhabitat per l'aggregazione
di forme giovanili, al riparo dalla pressione di predatori.
Ciò contribuisce a diminuire notevolmente la mortalità
larvale, che è l'anello debole del "recruitment"
delle specie ittiche.
In genere, la creazione di barriere artificiali sommerse
comporta impegni finanziari ragguardevoli a seguito degli
elevati costi per il reperimento del materiale da utilizzare.
Nel caso delle piattaforme dismesse, i costi sono di gran
lunga inferiori.
Tuttavia, l'utilizzo delle piattaforme dismesse come "artificial
reefs" non deve essere considerato alla stregua di
un semplice espediente per disfarsi di una struttura non
più utilizzabile, ma come un sistema per convertire
validamente tale struttura in un'altra da destinare ad un
uso completamente diverso. Il problema principale è
quello di stabilire quale materiale possa essere realmente
reimpiegato e le necessarie operazioni di bonifica da eseguire
per evitare il rilascio di qualsiasi tipo di elementi e/o
sostanze inquinanti. In genere, le parti da riutilizzare
necessitano di opportune bonifiche per rimuovere totalmente
le plastiche, il materiale coibentante, le batterie, i pannelli
solari e i serbatoi contenenti residui di oli, combustibili
e prodotti chimici di qualsiasi tipo.
La rimozione delle sostanze tossiche o potenzialmente tali,
come metalli pesanti, solventi organici, materiale radioattivo,
idrocarburi e cloro - fluoro - carburi deve essere completa.
È evidente, infatti, l'impatto che il rilascio di
sostanze inquinanti avrebbe sulle risorse di pesca, ma fino
ad ora in letteratura non esistono dati certi su una maggiore
presenza di questi composti nei tessuti delle specie che
si aggregano attorno alle piattaforme.
Alla luce di quanto descritto finora, è possibile
sostenere che la creazione di "artificial reefs"
dalle piattaforme di smesse possa avere delle ricadute positive
per la gestione delle risorse di pesca. La pesca in un'area
ristretta richiede un minor sforzo da parte del pescatore
in termini di tempo, fatica e spese generali. Gli stock
di pesci presenti all'interno della struttura posso essere
monitorati più facilmente rispetto alle zone di mare
aperto, per cui è possibile eseguire un adeguato
controllo sullo sforzo di pesca nell'area in questione e
nelle zone circostanti, in termini di: taglia del pescato,
quantità di pescato, zone di maggior presenza di
specie commerciali, ed eventuale stabilità degli
stock.
Nei prossimi anni un gran numero di piattaforme off-shore
verranno dismesse. A questo punto, si avverte la necessità
di condurre una serie di ricerche che accerti le reali potenzialità
del reimpiego di tali piattaforme come "artificial
reefs", in modo da stabilire una strategia di riconversione
applicabile su vasta scala.
di Otello Giovanardi e Attilio Rinaldi (ICRAM)
(
Il Rellitto del Paguro ) »»
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