In questo caso dovremo studiare attentamente la nostra chiglia,
considerando seriamente di rinforzare le parti piu' deboli, in
modo da evitare una flessione eccessiva in navigazione.
Consideriamo innanzitutto i vari materiali in commercio per poter
rinforzare e/o riparare la vetroresina:
Fibra di vetro:
Costo modico, buona resistenza alla compressione, peso elevato.
Fibra di carbonio:
Costo elevato, leggerissimo, ottima resistenza a compressione,
scarsa in trazione.
Fibre di aramide (Kevlar):
Eccezionale resistenza alla trazione, scarsa in compressione,costo
elevato.
Fibre miste (Kevlar+fibra
di vetro), comunemente chiamato Aramat :
Ottima resistenza a trazione, buona in compressione, peso medio,
costo relativamente contenuto.
Procedimento
Per poter utilizzare questi materiali di rinforzo, generalmente
venduti in rotoli di larghezza di 120 cm, bisognerà innanzitutto
preparare in modo differente la chiglia, ovvero "pelandola"
con una pialla elettrica, per asportare uno o piu' strati della
vetroresina esistente.
Quindi, in seguito ad una prima applicazione di resina epossidica
senza solvente, si applicheranno, in modo da incrociarli, due
strati di fibre.
Consiglio inoltre un'ultimo strato di panno di vetro, leggerissimo,
il quale darà una superficie relativamente omogenea al
tutto.
In seguito applicheremo uno stucco epossidico (importante, il
poliestere non va bene), carteggeremo il tutto e quindi un'ultima
applicazione di primer per antifouling.
Un'ottimo risultato si ottiene applicando un primo strato di
Aramat, il quale avrà una buona resistenza a compressione
+ un'eccezionale resistenza a trazione, senza dare I problemi
di imbibimento comuni al Kevlar nudo.
Il secondo strato andrà bene in VTR, ma nel caso si voglia
alleggerire il tutto, e si vogliano caratteristiche eccezionali,
a questo punto non resta che la fibra di carbonio, eccezionale
per resistenza a compressione, quindi agli urti.
Facendo cosi' avremo una chiglia che esternamente assorbirà
gli urti, e possederà una parte interna che lavorerà
al contrario, cioè per trazione, quindi un'ottima resistenza
pur mantenendo una relativa elasticità.
Per quanto riguarda I vari tipi di resine epossidiche in commercio
non ho rilevato sostanziali differenze qualitative, se non unico
il prezzo, quindi una resina con caratteristiche dichiarate dii
buon livello andrà benissimo.
Attenzione, e questo è veramente importante, ai tempi
e alle temperature di utilizzo, oltre ai dosaggi i quali
devono essere precisi, pesati e non misurati, poiché i
componenti non hanno lo stesso peso specifico.
A differenza delle resine poliesteri, le quali hanno bisogno di
un'induritore per catalizzare, le resine epossidiche sono prodotti
a due componenti, i quali, in mancanza di uno o l'altro prodotto,
daranno come risultato di avere parti non catalizzate, quindi
liquide.
I tempi d'utilizzo sono anch'essi importanti, poiché,
a seconda della temperatura saranno più o meno brevi, e
se lasciate catalizzare troppo poco la resina (vuoi per temperatura
insufficiente, vuoi per fretta) avrete un supporto che avrà
tendenza a trattenere i gas di catalisi, i quali saranno estremamente
deleteri, in quanto daranno inizio immediatamente ad un processo
di osmosi, e, nel caso contrario, ovvero di troppo lunga catalisi,
non avrete piu' un'aggrappaggio dello strato successivo, col risultato
che nulla si potrà aggrappare efficacemente sul supporto
stesso.
A questo secondo problema si può ovviare carteggiando la
superficie, ma, vi assicuro che non è impresa da poco,
anche perché la durezza della resina epossidica è
estrema.
Mi auguro di essere stato chiaro ed esaudiente, almeno in parte.
Arrivederci nel Forum
Diego Gorni
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