Premessa
La prima volta che ne vidi una ne restai affascinato.
Occhi grandi, corpo affusolato ma compatto che esprimeva
una potenza incredibile, manto d'argento con sfumature dal
giallo al blu.
Era stesa sul ciottolato di una spiaggetta.
Meravigliosa.
Mi dissi che ne dovevo catturare almeno una.
Ci misi un anno.
Passai dalla traina alle occhiate e alle aguglie con un
piccolo cucchiaino, con filo di 25 mm. , ad innescare una
aguglia viva su un terminale di 100 mm per insidiare il
più bel pelagico dei nostri mari.
Ero su una piccola isola del Tirreno poco fuori Livorno
e cercavo con ogni mezzo di accattivarmi le simpatie dei
pochi , vecchi , pescatori locali per saperne di più.
Parola dopo parola ero quasi riuscito a conoscere la tecnica
da loro usata.
Mi mancava solo l'ultima parte , forse la più importante,
come innescare l'aguglia e, cosa ancora più difficile
farla restare viva.
L'occasione " del sapere " mi si presentò
su un piatto d'oro: vagabondavo attorno all'isola trainando
il solito cucchiaino, con una piccola aguglia sul pagliolo
a coronamento delle mie fatiche , quando da una barca locale
a poca distanza da me, due persone mi fecero segno di aiuto.
Mi avvicinai e mi dissero di avere rotto il motore, li porsi
un cima ed uno dei due salì a bordo per facilitarmi
le manovre.
Iniziammo il traino.
Sino al porto era necessario circa un quarto d'ora.
Parlammo di pesca ed io ne approfittai subito , presi l'aguglia
in mano e chiesi di mostrarmi come innescarla.
Lo fece di buon grado.
Assorti in questa spiegazione, solo dopo qualche minuto
ci accorgemmo che l'imbarcazione a traino si era mollata
ed era rimasta a diverse centinaia di metri da noi con l'altro
pescatore che urlava e sbracciava nel disperato tentativo
di attirare la nostra attenzione.
Dopo questa comica situazione, ebbi comunque a disposizione
anche l'ultimo tassello e provai a concludere il gioco.
Partìì la mattina dopo di buon'ora, catturai
l'aguglia con il solito cucchiaino, l'innescai con un amo
del 6/0 nella pancia proprio sotto la pelle , passai il
filo del terminale tra le due parti del becco, ve le strinsi
sopra e legai il tutto con del filo sottile.
L'aguglia scorreva leggermente.
Avevo impiegato un bel po' di tempo a confezionare il tutto
e rimettere in mare l'aguglia.
La lenza era a mano.
Terminale del 100 mm, circa venti metri, girella mastodontica
di quelle di ottone senza sfere, primo piombo da tre etti
ad oliva, spezzone di 15 metri del 120 mm, nuovo girellone,
due piombi da tre etti ad oliva, cento metri del 140 mm
di cui ne filavo in mare circa quaranta, venti metri tolti
dal sughero e stesi sul pagliolato per bilanciare l'abboccata
del pesce.
Velocità della barca circa un nodo e mezzo o forse
meno.
Dopo circa venti minuti, un colpo tremendo mi tolse il filo
dalla mano.
I venti metri di lenza sparirono dal pagliolo della barca
e il tutto si allentò per un attimo.
Ripresi la lenza in mano e finalmente sentì i colpi
della ricciola.
Erano fughe velocissime verso il fondo alternate a pause
di pochi istanti.
Poi lentamente dei piccoli cedimenti e potei recuperare.
Venti metri sotto la barca, in un acqua limpidissima, iniziai
ad intravedere una sagoma d'argento che attimo dopo attimo
prendeva forma, volteggiando verso la superficie.
A pochi metri dalla barca la "tragedia", un piccolo
colpo e l'amo si staccò dalla preda che si inabissò.
Mi cadde il mondo addosso, ma solo per un attimo.
La tecnica era quella giusta.
Era soltanto questione di tempo.
Ed infatti dopo circa un' ora una bella ricciola di dieci
kili, faceva risplendere il mio gozzo.
Questa è ormai storia .
La pesca alla ricciola ha adesso una fisionomia un po' diversa.
Andiamo a scoprirla.
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