Nel frattempo la barca continua sempre ad avanzare a bassa
velocità per evitare che possa infilarsi sotto e
per tenerlo ben ossigenato con il flusso d'acqua. Mai fermare
completamente la barca per permettergli di respirare.
Beppe sporgendosi dalla murata raggiunge con le mani la
girella ed afferra saldamente il terminale. Il tonno tenta
di picchiare verso il fondo, ma grazie alla movimento della
barca, che lo sbilancia, ed al tiro del terminale, riesce
solamente a compiere dei semicerchi, che si interrompono
contro la superficie dell'acqua, dalla quale per tre volte
esce di slancio per metà corpo.
Ora nuota ritmicamente sul fianco, di lato alla barca,
ricoperto da una lente d'acqua di non più di dieci
centimetri, la pinna dorsale e le pelviche completamente
estroflesse. I colori si accentuano con le scosse di adrenalina
che percorrono il corpo come scariche elettriche, così
il profondo brillante blu e l'argento della pancia, divisi
da una linea gialla splendente assumono contorni cosi nitidi
da apparire in rilievo e tonalità così esasperate
da sembrare artificiali.
Con un colpo secco e rapido, badando ad intercettare il
corpo del tonno ben perpendicolarmente all'asta, affondo
la punta del tag alla base della dorsale e, ritirandola,
noto subito una strisciolina gialla, che si staglia nel
blu del corpo. E' il punzone che appare saldamente applicato.
Importantissimo ora mantenere il pesce di fianco alla barca
il minor tempo possibile.
Riossigenarlo? Forse tenendolo con le mani per la coda
e spostandolo avanti ed indietro, come si fa con le trote,
operazione senz'altro agevole solo per l'incredibile Hulk.
Oppure avanzando, a sei sette nodi, trainando a mano un
corpicino di più di duecento kili, sino a che non
si è perfettamente ripreso, il cui segnale inequivocabile
è il tuffo dei malcapitati, attaccati al terminale,
ansiosi di seguire il tonno per una lezione di sci d'acqua.
Lo shock di rimanere trattenuto a lungo di fianco alla
barca, di cui ha una fobia innata, al contrario degli squali,
peggiora ulteriormente le condizioni del pesce, che anela
solamente ad allontanarsi il più presto possibile
da tale minaccia.
Ancora preso da questi dubbi amletici, afferro le forbici
e taglio deciso il terminale proprio a ridosso dell'amo,
che è piantato nella più classica delle posizioni,
l'angolo della bocca. Non tento nemmeno di slamarlo, per
accelerare ulteriormente l'operazione di rilascio.
Un piccolo amo in bocca non è certo un grosso danno
per un bestione di questa stazza. Tanto più che nella
maggior parte dei casi l'asola che si è formata attorno,
a causa della trazione nel combattimento, permette al pesce
di liberarsene con pochi colpi di testa a bocca aperta,
una volta privo del tiro della lenza.
( seguito
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