Contrariamente a quanto si possa pensare, il viaggio in barca
a vela può rappresentare, per gli appassionati pescatori
una full immersion veramente totale:
nei trasferimenti o spostamenti si traina;
nelle soste in rada o nei porti si pesca con la bolognese e,
in notturna, magari qualche cena in pozzetto potrà essere
scompigliata dal trillare della frizione di una canna lasciata
a lenza morta.
Il trucco è pescare quasi senza accorgersi di farlo:
si mettono in pesca le canne e ci si rilassa, saranno le attrezzature,
animate all'improvviso dall'abboccata, a riportare l'adrenalina
a livelli di guardia.
Così nell'estate del 2000 eravamo in rotta da Palermo verso
Levanzo (isola delle Egadi) a bordo di un 40 piedi di proprietà
degli amici Angiolino e Leo; c'erano anche Pierangelo, mio insostituibile
"compare" di navigazioni e le ns. ragazze Veronica,
la mia, e Nina, quella di Pierangelo; entrambe le fanciulle erano
alla prima esperienza di viaggio in barca e non avevano nemmeno
mai assistito a situazioni alieutiche ed a quanto conseguentemente
esse comportano.
Immaginatevi la situazione: barca in rotta a vela con "Uccio"
al timone (Uccio è il pilota automatico) giornata di sole
quasi allo zenit, catturato dalle creme abbronzanti delle apprendiste
marinaie e due canne in pesca, come al solito.
Per ingannare il tempo del trasferimento si era messo mano al
repertorio di Battisti urlato a squarciagola quando all'improvviso,
al posto dell'ultima nota della frase "le bionde trecce gli
occhi azzurri e poi
" è intervenuto il do di
petto del mio vecchio Penn Senator da 6/0 che, dopo un attimo,
si è trasformata in un acuto da Callas per quanto il filo
usciva veloce dalla bobina.
In quel momento "le bambine" anno capito che la vacanza
prendeva una piega non prevista: in un attimo la faticosa attività
abbronzante è stata scossa dal subbuglio apparentemente
disordinato che provoca un equipaggio che si appresta a combattere
un pesce.
I miei compari, già avvezzi a catture anche consistenti,
si erano messi tutti al loro posto e cominciavano a manovrare
con una certa diligenza; data la rabbiosità della fuga,
l'inclinazione del filo che proseguiva in superficie e l'esca
impiegata detta "la caramella", il sospetto che fosse
un'Aguglia stava diventando certezza.
Così, indossata la cintura da combattimento, chiamo l'inseguimento
del pescione mentre Angiolino e Pierangelo iniziano a smanettare
inspiegabilmente sulla nuova scaletta tutta avvolta da cavi e
cavetti, ultimo ritrovato della mente perversa degli armatori.
A questo punto nonostante la barca fosse spinta al massimo da
vele e motore a circa 7 nodi il filo iniziava a far intravedere
la fine della bobina: "quando si ferma 'sta belva?"
pensavo.
Finalmente, dopo circa dieci minuti di inseguimento con Leo
al timone che ripeteva continuamente, "che devo fare?, che
devo fare?", la bella beccolunguta pensa bene, come d'abitudine,
di fermarsi e fare dietro front, ad una velocità che nemmeno
Superman sarebbe riuscito ad avvolgere il mulinello in tempo.
(continua)
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